L'Unione: il fantasma che si aggira per l'Europa


di Leonardo Mazzei  

Oggi in molti si chiedono come mai lo spread sia di nuovo intorno a quota 500. Intanto, da Francoforte, Mario Draghi dichiara che «l'euro è irreversibile». Talmente irreversibile, che c'è bisogno di ricordarlo un giorno sì e l'altro pure...
A tre settimane dal vertice di fine giugno - ricordate, quello dove «Spagna e Italia avevano vinto» - l'Unione sembra sempre più un fantasma che si aggira per l'Europa. Mentre la Spagna va a picco, l'UE si preoccupa più che altro delle modalità con le quali il paese iberico dovrà essere impiccato. Mentre l'Italia è senza speranze, l'unico messaggio che arriva dall'Europa è quello di dare ancora più tempo al liquidatore Monti, anche dopo il 2013 come chiede pure (chissà perché...) Schauble, il ministro delle finanze tedesco. E meno male che Spagna e Italia avevano vinto...
Del resto, una domanda che i commentatori non si fanno mai è quale futuro possa mai avere un'Unione i cui vertici hanno sempre vincitori e vinti, lasciamo perdere se veri o solo presunti tali.
Una fotografia sullo «stato dell'Unione» ci viene dalle cronache finanziarie di questi giorni. Leggiamo come le sintetizza Morya Longo sul Sole 24 Ore di oggi: «Non è solo la Germania a vivere beata con i tassi d'interesse sotto zero. La Francia ha sotto zero i titoli trimestrali (- 0,017) ieri sera). E ha intorno allo zero i tassi dei titoli fino ai 5 anni di durata. Nelle stesse condizioni sono anche Austria, Finlandia e Olanda. Questo non fa che migliorare sempre più le loro condizioni, peggiorando quelle di Italia e Spagna».
Da tempo, ma con una forte accelerazione nelle ultime settimane, è in atto un gigantesco spostamento di capitali, un travaso di immani proporzioni, fatto di due semplici operazioni: vendita dei titoli di Spagna e Italia (non solo titoli di Stato, ma anche obbligazioni bancarie), acquisto di titoli dei paesi dell'area economica tedesca, con l'aggiunta nell'ultimo periodo della Francia.
Si tratta di un vero e proprio travaso di ricchezza che impoverisce il sud ed arricchisce il nord dell'UE. Sopra le Alpi, pur sempre all'interno di una crisi sistemica senza sbocchi, sorridono: chi non sarebbe felice di finanziare il proprio debito con tassi sotto lo zero? Questo travaso è ovviamente micidiale per paesi come Spagna e Italia, costretti a dissanguarsi solo per far fronte alle scadenze del debito pubblico.
Qualcuno magari penserà che si tratti della solita (e tanto propagandata) divergenza tra paesi «virtuosi» e paesi «viziosi», ma così non è. Leggiamo come prosegue la sua diagnosi Morya Longo: «Quello che dimostra veramente la malattia d'Europa è il caso del Belgio: il Paese ha un debito pubblico pari al 100% del Pil (non molto meglio dell'Italia) e ha un deficit di bilancio pari al 3% del Pil (peggiore del nostro). Eppure i suoi titoli di Stato hanno rendimenti intorno a zero per le scadenze brevi. Questi numeri chiariscono cosa pensi (o tema) il mercato. Ormai l'Europa non è più unita».
Ha ragione la Longo, perché se un'Unione vi fosse, o se perlomeno si volesse tentare di costruirla, il travaso di ricchezza dovrebbe semmai avvenire in direzione opposta, con gli Stati relativamente più ricchi chiamati a pagare almeno un po' di più di quelli poveri. Avviene invece l'esatto contrario, giudicate voi quale razza di unione è quella per la quale si continuano a chiedere ai popoli sacrifici sempre più duri.
La divaricazione dei tassi fa impazzire sia i nostrani economisti mainstream, sia i dirigenti politici dell'asse ABC che sostiene Monti. Ma come, si chiedono, perché veniamo colpiti? Eppure siamo così virtuosi, coi nostri bei tagli alle pensioni, ai salari, ai diritti, alla sanità, con il nostro meraviglioso governo che a nessuno deve rispondere, con un golpista a guardia della costituzione... ma che altro dobbiamo fare?
Ma come signori? Non eravate quelli del «mercato l'ha detto», del «mercato lo vuole», del «mercato non gradisce», insomma del «mercato» come signore del tutto? Ebbene, beccatevi un po' di mercato!
Se non fossero quei farabutti che sono, farebbero quasi tenerezza gli esponenti governativi e i politici ABC che quasi gridano al complotto: «ci vogliono colpire!». Chi ci vuole colpire? Ditelo per favore, che altrimenti tutti prima o poi capiranno l'ovvio: che i primi responsabili dell'attuale disastro sono proprio quelle stesse classi dominanti che ancora pretendono di guidare il Paese nel momento della catastrofe.
Ma perché i mercati finanziari non si fanno infinocchiare dalla retorica europeista? Più precisamente, perché i grandi capitali che si muovono in quei mercati esigono tassi sempre più alti da Spagna e Italia, nonostante la mostruosa manovra di Rajoy e quelle senza fine del governo Monti? Semplice, perché sanno far di conto e possiedono una certa memoria storica.
Sulla Spagna hanno capito quanto sia inestricabile il rapporto tra il debito delle banche e quello dello Stato. Sanno che con le ultime misure economiche la recessione spagnola si aggraverà, con conseguenze imprevedibili nel paese che ha il record europeo della disoccupazione.
Sull'Italia sanno tre cose. La prima è che il debito pubblico ha raggiunto una cifra mostruosa, ormai vicina ai 2.000 miliardi. La seconda è che la recessione durerà a lungo, minando in profondità la struttura produttiva del paese. La terza è che i meccanismi europei non servono ad uscire dall'emergenza, ma solo a garantire, almeno nel breve periodo, i creditori.
E' l'intreccio di questi tre elementi ad essere decisivo. Il debito elevato potrebbe essere ancora gestito se non ci fosse la recessione, ma la necessità di abbatterlo secondo le norme europee (vedi il Fiscal Compact) non potrà che approfondire la decrescita economica. Dunque, non se ne esce.
Per quale motivo i detentori del grande capitale finanziario dovrebbero allora rischiare sull'Italia? Meglio, molto meglio per loro, dirigersi verso altri lidi. E così, mentre continuano ad ingrassarsi con le ricche cedole dei BTp che ancora posseggono, in attesa di recuperare il capitale alla scadenza, si guardano bene dal rinnovare i loro investimenti, spostandoli nell'area tedesca dopo aver abbondantemente lucrato sull'Italia. E' il mercato, bellezza!
In tutto ciò non ci pare di vedere alcun complotto, ma solo il normale funzionamento del capitalismo, portato all'esasperazione dalla sua attuale forma iper-finanziarizzata di capitalismo-casinò.
Qui non si tratta, allora, solo di decidere se si vuole o meno morire per l'euro. Qui si tratta di scegliere se si vuole o meno morire per gli interessi delle oligarchie finanziarie dominanti.
L'euro prima o poi morirà, e gli ultimi ad accorgersene saranno i cascami di una sinistra ormai senza bussola. Ma chi guiderà quel processo? Questo è il punto, ed i casi sono due e soltanto due. O saranno le stesse classi dominanti di oggi che - magari attraverso il riciclaggio di un personale politico aduso ad ogni trasformismo - continueranno a chiedere sacrifici al popolo lavoratore per pagare un debito insostenibile anche se denominato in lire, o sarà un governo espressione degli interessi delle masse che quel debito dovrà cancellare. Un governo popolare, figlio di una sollevazione, capace di prendere in mano la situazione, di affrontare l'emergenza e di indicare una nuova prospettiva ed una nuova visione del mondo su cui cominciare ad edificare una nuova società.
Solo così si esce dai fallimenti. E il fallimento non solo dell'Unione Europea, ma del «capitalismo reale» così come si è conformato negli ultimi decenni, è sotto gli occhi di tutti.
E' ora che chi si rende conto che questa è la situazione esca dalla passività. E' l'ora di unire tutte le forze disponibili, è l'ora della responsabilità. Che ognuno se la prenda, per dare il proprio contributo ad una risposta popolare al massacro sociale che avanza. Ci dicono che la sollevazione che proponiamo non è cosa facile. Bella scoperta, ci sono altre idee migliori?