La svolta di Draghi, se non è un bluff, resta insufficiente


di Emiliano Brancaccio

Mario Draghi ha appena dichiarato: «All’interno del proprio mandato, la Bce è pronta a fare qualunque cosa per preservare l’euro, e credetemi, questo basterà». Ha inoltre precisato che l’intervento sugli spread «rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria».
E’ una novità? Per certi versi sì, dal momento che mette più chiaramente in luce l’esistenza di un conflitto tra i componenti del Consiglio direttivo riguardo alla interpretazione “autentica” dello Statuto della Banca centrale europea. Un conflitto dagli esiti indeterminati, che da qui in avanti tenderà ad accentuarsi sempre di più, e che potrebbe in ogni momento far mancare i voti alla “svolta” appena accennata.
La novità rende la Bce prestatore di ultima istanza? No. L’ipotesi del “prestatore” è del tutto esclusa dallo Statuto. Draghi forza il concetto di “meccanismo di trasmissione della politica monetaria” per legittimarsi a intervenire nuovamente sugli spread. Ma sta camminando sul filo di un’interpretazione sottile e fortemente discutibile.
Se comunque tale “svolta” fosse duratura, sarebbe una via di salvezza per l’attuale configurazione della zona euro? Sembra altamente improbabile, perché la disponibilità del Consiglio direttivo della Bce ad agire sugli spread resterà in ogni caso condizionata al fatto che i paesi periferici dell’eurozona insistano con le politiche deflattive e restrittive. Ma queste politiche, come Keynes già insegnava all’epoca del gold standard, non sono mai state in grado di correggere gli squilibri tra i rapporti di debito e credito di paesi ancorati a un cambio fisso.
Cosa può accadere, dunque? Se la “svolta” di politica monetaria alla quale Draghi sembra far cenno risulterà stabile, il rischio maggiore è che la Bce prenda solo tempo, durante il quale assisteremo a una lunga agonia e a un consolidamento della cosiddetta “mezzogiornificazione” delle periferie europee (si veda il cap. 12 del volume L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa). Con il risultato finale di vedere a un certo punto comunque implodere l’attuale zona euro. Sarebbe l’epilogo peggiore di tutti.
E allora cosa bisognerebbe fare? L’azione della Bce sugli spread dovrebbe essere affiancata da meccanismi come lo “standard retributivo”, che impongano ai paesi in surplus verso l’estero di attuare politiche espansive e reflattive; e da un “piano” di investimenti pubblici europei, orientato principalmente verso il rilancio delle economie dei paesi periferici (cap. 15 e 16 del nostro libro).
I portatori degli interessi prevalenti in Germania si renderanno mai disponibili in tal senso? No, se il loro unico rischio sarà quello di veder saltare in aria la sola moneta unica. Mi pare che l’analisi di Merryll Lynch sia incompleta e che giunga a conclusioni inesatte, sotto questo punto di vista. In realtà, l’unica cosa che in Germania temono davvero è che con la moneta unica salti pure il mercato unico europeo. Ossia, temono una svolta neo-protezionista dei paesi periferici che limiti i movimenti di capitali, di merci e le acquisizioni estere.
Chi potrebbe attuare una credibile minaccia neo-protezionista verso la Germania? Non certo Monti, né i cosiddetti “liberoscambisti di sinistra”.
L’ipotesi di una uscita dall’euro è dunque preferibile? Come abbiamo detto più volte, dipende dalle modalità di uscita.