Lettera aperta agli operai Fincantieri


Nel corso di questi ultimi anni, ogni volta che mi è stato possibile, sono sceso in piazza per la difesa del posto come delle condizioni di lavoro, al fianco vostro, ma anche di operai e lavoratori di altre aziende. Questo perché ritengo che solo nella solidarietà fra proletari si possano fronteggiare e risolvere i problemi che in questi tempi si aggravano sempre più per noi.
Poco importa, di fronte alla grandezza dei problemi attuali, l'accordo o disaccordo su questa o quella vertenza, ma ci sono momenti in cui non si possono chiudere gli occhi di fronte a quello che vogliono imporci di accettare, la resa incondizionata mascherata da mezza vittoria.
Mi riferisco ad alcuni aspetti dell'accordo raggiunto in questi giorni per la 'sopravvivenza' del cantiere di Sestri Ponente. Uso le virgolette perché sei mesi di lavoro, fra sei mesi, per metà degli operai, non possono essere considerati una garanzia di sopravvivenza. Certo, come alcuni di voi hanno detto, meglio questo che il buio assoluto, ma vorrei invitarvi a riflettere su quanto accade anche in altre aziende, molto grosse e molto importanti. Esempio classico, la FIAT. Lotte anche lì ce ne sono state parecchie, pagate con denunce, sospensioni e altro. Ma alla fine dei conti, il padrone è quello che decide dei mezzi di produzione, ed ha detto chiaramente, 'o così o fuori', e decido io se si chiude o no. Questo non per sminuire le vostre lotte, ma solo per dire che alla fine, quello che viene fuori è sempre e solo l'interesse del padrone. Di fatto da aprile a settembre lo stabilimento rimarrà chiuso. Da settembre ad aprile 2013 lavorerà solo la metà degli operai. Nel frattempo 330 rimarranno a casa, fra mobilità (che è sinonimo di esubero) e cassa integrazione. E poi? Nuovi incontri e nuovi accordi. Ovvero, nessuna garanzia di rientro, che come sottolineano i quotidiani, l'azienda 'non può e non vuole dare', dato che ha più volte dichiarato fra l'altro che non le conviene, e quindi non intende, mantenere una struttura produttiva di otto stabilimenti.
Inoltre, la cassa integrazione, come insegnano le esperienze non solo mie, ma anche di altri lavoratori in tempi odierni, non è affatto uno strumento che va a favore dell'operaio, ma il più delle volte è l'anticamera del licenziamento, o 'esubero', come adesso lo chiamano per non turbare gli animi. Tra le altre cose, il governo sta discutendo attualmente sul modo per eliminare la cassa integrazione in quanto costo che grava sulle casse dello stato. Facile capire dove vogliano andare a parare. D'altra parte, il confronto 'con le parti sociali' in questi giorni , è centrato sulla riforma del mondo del lavoro, per dare maggiore 'flessibilità', 'mobilità' e minori costi alla forza lavoro. In questo senso, giocare sulle parole è abbastanza di cattivo gusto, dato che esubero o eccedenza hanno alla fine lo stesso significato, e che l'aggiungere il termine 'congiunturale' significa abbastanza poco, date fra l'altro le previsioni relative all'andamento dell'economia per l'anno prossimo.
Un altro aspetto da chiarire a questo punto, è quello relativo alla crisi, che molti sintetizzano con la frase 'non c'è lavoro'. Questa è una delle bugie più grandi che si possano raccontare. Perché su questo, i punti di vista dei lavoratori e dei padroni non possono essere uguali. Per chi lavora, per una società in generale, il lavoro serve a produrre quanto serve alla comunità per vivere e progredire. Di conseguenza si dovrebbe produrre, in termini di beni di consumo come di servizi, solo quello, e quanto, serve alla comunità per vivere. Per i padroni invece il lavoro è il mezzo per aumentare a spese dei lavoratori il loro capitale, e per questo producono quello che conviene loro e nella quantità massima possibile, per ingrossare con la vendita i loro capitali e ricominciare daccapo. Ma arrivati ad un certo punto, il potenziale produttivo è troppo, ridurre il costo della forza lavoro fa restare ancora ad un certo livello i loro profitti, ma così si finisce per produrre troppo, mentre sempre meno possono permettersi di acquistare tutta questa merce. Serve a poco anche il sistema del credito, dell'indebitarsi perché costretti a comprare.
Un'infermiera cubana, qualche anno fa, quando cercai di spiegarle il sistema dei mutui e degli acquisti a credito, mi rispose 'ma così sarete sempre costretti a lavorare per pagare loro i debiti, così diventate schiavi': E questa di fatto è la realtà. In più, questa vendita per denaro che non esiste e che nessuno è in grado di pagare realmente, porta a scoppiare quella che chiamano ora 'bolla finanziaria'. Tanti soldi virtuali che a questo punto valgono quanto quelli del Monopoli.
E questa è la crisi, che come al solito vogliono far pagare a noi, togliendoci il posto di lavoro, in un modo o nell'altro, costringendoci a lavorare per salari sempre più bassi, con sempre meno servizi pubblici,sempre meno possibilità di discutere e obiettare; ma non basta, ci convincono addirittura del fatto che per campare dobbiamo andare a colpire gli interessi di altri operai come noi.
Mi riferisco ad esempio sia al tipo di produzioni, sia alle condizioni poste per far andare avanti uno stabilimento. Nel vostro caso, vi convincono che per sopravvivere avete bisogno di       costruire fregate militari e carceri galleggianti. Intanto, se l'interesse non fosse sempre l'ingrasso di pochi padroni, nel settore navale lavoro ce ne sarebbe eccome, senza sguinzagliare per il mondo altre armi. Basti pensare a quante carrette del mare vengono fatte circolare senza riparazioni né manutenzione, con le conseguenze che derivano. O al business dello smantellamento e recupero materiali. È una ipocrisia tremenda far scendere in piazza dei lavoratori per reclamare la produzione di una nave da guerra che servirà, oggi a sterminare altri lavoratori in un'altra parte del mondo, ma domani magari proprio quelli stessi che l'hanno fabbricata, visto che gli eserciti, non da oggi, quando si mette male servono a 'domare' i lavoratori che non si sottomettono. Idem per le carceri, che normalmente rinchiudono per lo più proletari con problemi di sopravvivenza, ma non dimentichiamo che spesso rinchiudono anche chi lotta per migliori condizioni di vita, inclusi sindacalisti ed operai. Voi stessi avete ricevuto denunce per le lotte che avete portato avanti.
Stesso discorso per quanto riguarda Terzo Valico e Gronda. Premetto che non ho interessi a favore di nessun candidato, sindaco o imperatore che sia. Ormai dovremmo averlo capito che le poltrone servono solo a fare gli interessi di chi ha i soldi. Il punto è che, per voler credere in una promessa di lavoro futuro, che non è detto verrà mantenuta, per quanto sopra, non si può volere il male di altri lavoratori che si vedrebbero in alcuni casi espropriati della casa, nel generale comunque esposti a gravissimi rischi della salute, sia per il traffico ingente di mezzi, sia perché il famoso 'smarino' è costituito in gran parte da amianto, che fra le altre cose finirete per respirarvi anche voi. Il tutto in nome di due opere che sono assolutamente inutili, perché come ampiamente dimostrato da vari tecnici, non risolverebbero alcun problema di traffico, perché, vista anche la crisi che fa rallentare la produzione, non si capisce dove sia questa mole immensa di merci che dovrebbero circolare più velocemente per fare incassare più velocemente i padroni. È chiaro che lo scopo è il lavoro per sé, il giro di milioni che verranno intascati per la semplice realizzazione dell'opera. Possiamo noi in nome di questo farci rifilare opere di questo genere? Perché no allora il ponte sullo Stretto di Messina? O magari una bella centrale nucleare davanti alla porta di casa.
Quello che voglio dire in definitiva, è che non possiamo farci convincere da chi ci lascia in mezzo ad una strada da un giorno all'altro, o nella migliore delle ipotesi ci spreme come un limone per quattro soldi, che è nostro interesse farci ridurre sempre più a schiavi ed in più farlo mettendoci contro altri operai e lavoratori come noi. Come potremmo lamentarci allora se alcuni di questi facessero lo stesso con noi? A qualcuno potrebbero promettere di fare delle belle case popolari in riva al mare se gli da una mano a buttare fuori gli operai Fincantieri dopo il famoso 'ribaltamento a mare'. Ma questo è cannibalismo, mangiarci fra di noi, anziché renderci conto del fatto che il lavoro c'è, serve e va suddiviso fra tutti, per creare le condizioni di vita necessarie alla comunità. Gli unici che non servono a un bel niente sono i padroni, e molti esempi lo testimoniano. Gli operai ed i lavoratori della INNSE hanno lavorato in autogestione per un periodo; in Argentina ci sono 330 fabbriche recuperate in autogestione dai lavoratori, quando i padroni volevano chiuderle. E gli esempi potrebbero essere molti di più. Questo significa che per il lavoro, l'unica cosa che non serve è il padrone. Semmai il problema è la loro economia di mercato, basata sui profitti di pochi senza tener conto dei bisogni dei molti, riducendoli alla fame e mettendoli gli uni contro gli altri.
Con questo ovviamente non voglio dire che mi dispiace che la metà di voi abbia una seppur minima prospettiva di poter lavorare per qualche mese ancora. Vorrei solo che aprissimo gli occhi tutti, me compreso, che lavoro in un settore, l'edilizia, in cui purtroppo l'ognun per sé è la regola del giorno. Noi siamo quelli che producono tutto ciò che c'è e non esiste già in natura, ma ci mordiamo alla gola e ai garretti per contenderci le briciole che i padroni fanno cadere dalla loro tavola. L'unica nostra speranza di sopravvivenza, prima che questo sistema ci butti dentro un'altra guerra generalizzata e disastrosa come nessuna altra visto il potenziale bellico, è quella di capire, o meglio, ricordarci, che siamo una classe, quella che manda avanti tutto, e solo facendo i nostri interessi, tutti uniti, potremmo scongiurare la catastrofe a cui ci stanno portando.
Sarò ancora e sempre al fianco delle lotte vostre, come di tutti gli operai, per sconfiggere la logica del cannibalismo e permettere alle generazioni prossime di vivere senza doversi scannare per un pezzo di pane.
Un abbraccio da operaio e da comunista,
Stefano Alias.