In nome dei 5 punti di un programma per il “non pagamento del debito
pubblico” che abbiamo definito come espressione delle posizioni di
Rinaldini e di Casarini, un vasto arco di forze politiche e sindacali e
di associazioni, aveva promosso la manifestazione del 15 ottobre di Roma
degli indignados.
Lo Slai Cobas non aveva aderito alla manifestazione ed aveva preso le
distanze da questo programma mistificante che taceva sul ruolo dei
padroni ‘nostrani’ e sulle enormi, strutturali, responsabilità dei
governi, anche di centro-sinistra, e degli stessi sindacati confederali,
per una situazione di doppio sfruttamento e di doppia oppressione dei
lavoratori e di altri strati popolari del nostro paese. Una volta, ed in
primo luogo, sfruttati direttamente dal ‘proprio’ capitale finanziario
ed industriale ed, una seconda volta, assoggettati da questi stessi
interessi e da queste stesse forze economiche, politiche e statali, al
capitale europeo ed internazionale.
Lo Slai Cobas aveva anche evidenziato criticamente come sulla base di
questo programma la parte egemone (FIOM, Arci, Confederazione Cobas,
Rifondazione, SEL ecc.) dei promotori della manifestazione mirasse a
riprodurre e rinvigorire i tentativi di dare nuova vita ad una sinistra
in decomposizione, il tutto formalmente nel quadro di un’alternativa ai
governi di centro-destra ed al PD, ma di fatto nel quadro della
riproposizione di una prospettiva di centro-sinistra.
In sintesi la valutazione dello Slai Cobas era che, con queste premesse,
la manifestazione del 15 non poteva che tentare di riproporre e
rilanciare, su ampia, scala un perverso meccanismo, messo pesantemente
in atto da un anno a questa parte, passando dagli scioperi e
manifestazioni FIOM del 17 novembre del 2010 e del 28 gennaio 2011. Un
meccanismo in base al quale le forze più a destra (in primis la FIOM la
FdS e Rifondazione) nel cosidetto fronte sindacale, politico ed
associazionistico di opposizione al berlusconismo, lavorano a legare a
sé e, di fatto, ad egemonizzare, le forze poliche e sindacali che si
collocano alla loro sinistra al fine di evitare l’emergere di un polo
sindacale di classe alternativo alla CGIL, di un polo politico di classe
alternativo alla fallimentare e reazionaria sinistra riformista e di un
effettivo movimento di lotta degli operai, dei giovani precari, dei
lavoratori extracomunitari, dei piccolo lavoratori autonomi, ecc.
Oggi, a distanza di una settimana dalla manifestazione del 15, possiamo
sostenere che i giochi a questo proposito sono più difficili di prima.
Un esito della giornata del 15 è stato quello di evidenziare come sia
sempre più difficile tenere insieme i vari anelli della catena delle
dipendenze che ancora connettono i settori più avanzati del movimento,
del sindacalismo di base, dei centri sociali ecc. alle forze che
ritengono che nella lotta contro il governo Berlusconi, e contro i
diktat del capitale finanziario europeo, il pericolo principale sia
rappresentato dall’eventualità di una frattura della rappresentanza
politica e sociale verosimilmente capace, in un paese come l’Italia, di
catalizzare il conflitto ed il malcontento sociale in una prospettiva
concretamente rivoluzionaria.
La giornata di Roma ha rappresentato un evento implosivo che, almeno in
parte, ha messo in discussione la possibilità di tenere insieme, in nome
di un programma riformista confuso e velleitario, ed in nome di un
“nuovo” spazio politico di sinistra anticapitalistica capace di
candidarsi per un’alternativa di governo, forze politiche e sindacali e
settori sociali, che di fatto si muovono in direzioni diverse.
Basti pensare a quale credibilità possa realmente avere una prospettiva
che voglia continuare a tenere insieme nello stesso carrozzone, al
servizio di una “nuova” stagione di centro-sinistra ed al servizio di
una rivitalizzazione di una decrepita sinistra, delle forze del
sindacalismo di base e del movimento che cercano di individuare e
percorrere una strada anticapitalistica.
Oppure basti pensare a quali margini sempre più ristretti abbia
un’operazione politica che in nome della difesa della costituzione e
della democrazia voglia tenere insieme chi occulta o appoggia lo stato
di polizia e contemporaneamente contrabbanda l’attuale regime politico
come ancora pienamente caratterizzato da una democrazia rappresentativa
e chi invece denuncia il carattere repressivo ormai irreversibile di
questo Stato “democratico”.
O ancora sarebbe il caso di chiedersi quanto rimanga in piedi dopo il 15
ottobre della possibilità di andare a costruire un fronte comune tra chi
ritiene che di fronte alla pesantezza della crisi e dell’attacco
padronale e governativo siano necessarie e probabilmente anche
inevitabili, risposte di lotta dei lavoratori di maggiore radicalità
capaci di spezzare i limiti soffocanti e mortiferi di spazi di legalità
ridotti al lumicino e chi invece, all’opposto, è pronto a considerare
tutto questo come un brodo di cultura del terrorismo.
Se Cremaschi, dopo la manifestazione di Roma parla di fallimento è
perché il 15 ottobre, molto velocemente, ha evidenziato che il
carrozzone fa acqua da tutte le parti.
Se il 15 ottobre insegna ancora qualcosa, al di là della necessità di
una prospettiva politica di classe per quanti hanno voluto contrastare
in prima persona lo Stato di Polizia in Piazza San Giovanni, è che un
polo indipendente di classe, come centro di riferimento per un fronte
sociale e politico di lotta e di opposizione, è probabilmente necessario
anche per incalzare energicamente chi sempre di più si trova, suo
malgrado, soggetto alle intenzioni ed operazioni disciplinanti dei
padroni, del governo, del PD, della stessa CGIL.
La gravità del divieto anticostituzionale del corteo della FIOM a Roma
del 21 ottobre trova qui un corrispettivo nella gravità
dell’accettazione da parte della FIOM di tale divieto e nella relativa
contrattazione con la questura della possibilità di tenere una
“manifestazione stanziale” con il conseguente esito di andare a sancire
una situazione che rappresenta un insulto ed un umiliazione per l’intera
classe operaia italiana.
Per altro l’esito di questa “manifestazione”, che appare persino
fallimentare considerando la scarsa partecipazione, testimonia
ulteriormente del fatto che sempre più gli operai ed i lavoratori si
separano dagli apparati dei sindacati confederali, FIOM-CGIL compresa,
lasciando così intravedere implicitamente la domanda di un processo
costituente di proprie nuove organizzazioni e rappresentanze nel vivo di
un conflitto sociale e politico.
SLAI COBAS - COORDINAMENTO NAZIONALE