All'Europa serve un "new deal" di classe

  

Questo è un estratto di un più lungo intervento dell'autore tratto da Sbilanciamoci.it

Un inedito new deal 

Riccardo Bellofiore

Il superamento degli squilibri ‘reali’ europei non richiede di intervenire solo con la reflazione della domanda. E neppure dal solo lato del salario in rapporto alla produttività. Occorre, simultaneamente alla stabilizzazione finanziaria, un intervento sull’offerta. Come ha osservato Yanis Varoufakis, gli eurobond, oltre che consentire di soccorrere a costi contenuti i paesi in difficoltà, devono finanziare una espansione congiunta degli investimenti pubblici su scala europea. Un inedito New Deal che intervenga direttamente sui vincoli strutturali alla crescita, migliorando qualità del prodotto e innalzando la forza produttiva del lavoro. Strumento di una ‘riforma’, non solo di una ‘ripresa’. Questo apre alla questione dei contenuti della ‘riforma’: della composizione, e non solo del livello, della spesa e della produzione. Il problema che ci si squaderna davanti non è tanto la democrazia, quanto puramente e semplicemente il capitalismo.
Come ci ricorda Alain Parguez, ci sono disavanzi ‘cattivi’ e disavanzi ‘buoni’. I disavanzi ‘cattivi’ sono il risultato non pianificato del collasso delle economie, delle varie terapie shock, degli interventi deflazionistici, della stessa insostenibilità della finanza perversa. I disavanzi ‘buoni’ sono pianificati ex ante, il loro scopo è la costituzione di uno stock di risorse utili e produttive. Un ‘mezzo’ alla produzione di ricchezza e non di (plus)valore. Un investimento di lungo termine in ricchezza tangibile (infrastrutture, riconversione ecologica, mobilità alternativa, etc.) e intangibile (salute, istruzione, ricerca, etc.). Le questioni del genere e della natura divengono cruciali. E il welfare non si esaurisce nella erogazione di sussidi monetari, ma è intervento sui valori d’uso che costituiscono la ‘riproduzione’.
Qui torna utile la riflessione di Minsky nel suo Keynes e l’instabilità del capitalismo del 1975. La sua prospettiva è quella di una ‘socializzazione dell’investimento’, accoppiata ad una ‘socializzazione dell’occupazione’ e ad una ‘socializzazione della banca’. Dobbiamo tornare alla prima casella, sostiene Minsky. Al 1933. Ripensare un keynesismo del New Deal. Siamo alle domande di base: ‘per chi il gioco è fissato’; ‘quale è il tipo prodotto che si vuole’. Una società dove un migliore consumo è trainato dall’investimento pubblico, come motore della domanda autonoma e di un diverso sviluppo. Impossibile, scrive, senza la ‘socializzazione dei quartieri generali’, il consumo come dimensione ‘comune’, il controllo dei capitali, la regolazione della finanza, le banche come public utilities e il loro drastico snellimento. In questa ottica, per Minsky come per Parguez, lo Stato deve provvedere ad una creazione ‘diretta’ di occupazione. Lo dicevano pure Ernesto Rossi e Paolo Sylos Labini.
È chiaro che è un discorso dimezzato. Manca il lato del lavoro, non come oggetto ‘passivo’ ma come soggetto ‘attivo’. C’è solo il lato di una politica di ‘piano del lavoro’: un orientamento della politica economica al valore d’uso. Senza l’altro lato, il lato delle lotte del lavoro socializzato, non si va da nessuna parte. Ma come lamentarsene troppo, quando la sinistra si scorda entrambi i lati e recede alle spalle di un keynesismo radicalizzato? La questione che abbiamo davanti non è nazionale e non è tecnica: è politica e sociale. Ed è europea. Una sinistra degna di questo nome dovrebbe affrontarla su questa scala: continentale. Non mi illudo che questa coscienza sia diffusa. In fondo, spesso, quando va bene, ci si barcamena tra alternative protezionistiche, acrobazie salarialiste, proposte di basic income, e così via. O si affoga nella confusione del lavoro o della moneta definiti beni comuni, o si chiama a occupare le sedi europee per ascoltare le lezioni degli economisti critici. Se la natura della crisi è quella che si è detta in queste pagine, e dunque se questa è la sfida, vi è la necessità che si metta mano ad una sinistra di classe. La sinistra alternativa è morta: prima ce ne si accorge meglio è.