di Sergio Cesaratto
1. Le giornate nere del debitoL’accelerazione della crisi europea è impressionante. Ce lo aspettavamo. L’assenza di politiche europee credibili nei riguardi della crisi dei piccoli paesi periferici ha alla fine generato quello che qualunque persona intelligente poteva prevedere: il contagio a Spagna e Italia. L’aumento dei tassi di interesse sui titoli di questi paesi avvicina la loro situazione a quella in cui caddero i piccoli birilli da biliardo lo scorso anno. Spagna e Italia sono però birilli da bowling. L’accelerazione nell’approvazione della manovra ma, soprattutto, le voci di un intervento della BCE a sostegno dei titoli italiani ha evitato martedì 12 l’irreparabile. Pur tuttavia il differenziale di interesse con i titoli tedeschi ha raggiunto un livello incompatibile con la sostenibilità nel lungo periodo del debito italiano. Ovvero se lo stock del debito italiano dovesse essere progressivamente rifinanziato a tassi così elevati, esso comincerebbe a crescere in maniera insostenibile per il mero pagamento degli interessi, a meno di imponenti avanzi primari del bilancio pubblico che a loro volta genererebbero recessione in una spirale senza fine. Siamo vicini alla situazione in cui si trovarono i piccoli periferici un anno fa, e da cui non sono in grado di uscire. Come insegnano le esperienze di questi ultimi, infatti, feroci manovre di aggiustamento dei conti accelerano la crisi debitoria. I mercati lo sanno. Martedì sera l’agenzia di rating Moody’s ha, infatti, ridotto anche i titoli del debito pubblico irlandese a spazzatura. Che fare allora?
2. Gli Eurobonds
Come abbiamo avuto già modo di dire, la crisi europea ha un aspetto contingente e uno di fondo. Non sorprendentemente le questioni di fondo, che sono poi quelle che hanno portato alla crisi attuale, sono quelle più complicate poiché hanno a che fare con l’architettura dell’Unione Monetaria Europea. Fronteggiare la crisi di solvibilitàdel debito dei piccoli paesi periferici e impedire la caduta nel’insolvenza ai grandi periferici richiederebbe solo un po’ di coraggio e lungimiranza. Com’è noto la proposta da molti condivisa, da Tremonti-Junker ad Giuliano Amato, Soros e tanti altri) è quella degliEurobonds. L’idea è che una quota del debito pubblico degli stati nazionali venga trasferito a un ente europeo, per esempio la Banca Europei degli Investimenti (BEI). Tale quota la si individua in un ammontare di debito pari al 60% del PIL. Il debito italiano, per esempio, è il 120% del PIL. Metà andrebbe alla BEI, metà rimarrebbe nazionale. La parte trasferita potrebbe essere da subito rinominata inEurobonds, ovvero man mano che i titoli nazionali trasferiti scadono, essere sostituiti con emissione di titoli europei. Attenzione, ciascun paese continuerebbe a farsi carico del servizio del debito, cioè degli interessi. Il vantaggio è che la garanzia europea sulla parte trasferita farebbe abbassare i relativi tassi al livello dei Bund tedeschi. Ma anche sulla parte restata nazionale i tassi diminuirebbero in seguito alla riguadagnata situazione di solvibilità dei paesi. Poiché una quota cospicua del debito pubblico dei periferici è detenuto da stranieri - tipicamente banche inglesi, francesi, ma anche fondi di investimento americani -, dunque è parte del debito estero del paese, diminuendo il debito a carico del paese, diminuirebbe corrispondentemente anche il suo debito netto con estero (che a ben vedere è l’indicatore primario di solvibilità).
3. Una banca sovrana
La proposta come viene di solito presentata è però monca di una componente importante: la necessità che l’Europa si doti, come tutti i grandi paesi, di una banca centrale sovrana, un “government banker”, come si esprime l’economista eterodosso Tom Palley. Ma non c’è la BCE? Un “banchiere del governo” è una banca centrale che ha la possibilità, il dovere direi, di intervenire a sostegno del debito sovrano di un paese. La BCE non ha questo status. Paesi sovrani, dotati di banche sovrane, e che non si siano legati ad assurdi accordi di cambio, non possono fallire, come ci ricorda un altro eterodosso, Randall Wray. Ora, nel momento in cui si crea un debito pubblico europeo è necessario che lo status della BCE muti, divenendo più simile alla FED, sì da essere garanzia di ultima istanza di tale debito.In un apprezzabile articolo su Il Sole-24 Ore sui cui dovremo tornare, Guido Tabellini ha inaspettatamente sottoscritto questo punto di vista.
4. Una nuova Europa?
Ciò fatto, si tratta di capire come l’Europa potrebbe evitare di ritornare nel giro di pochi anni alla situazione attuale. Questa è frutto del fatto che negli anni dell’Euro i paesi periferici hanno perso competitività, e livelli talvolta sostenuti della spesa interna sono stati sempre più finanziati dall’estero e non da redditi nazionali. Il crescente indebitamento dei settori privato e/o pubblico è stato dunque in buona misura nei confronti dell’estero.
L’obiettivo è dunque il recupero di competitività dei paesi periferici in assenza dello strumento classico, la svalutazione. Che tale recupero possa avvenire attraverso la deflazione interna di prezzi e salari (la cosiddetta svalutazione interna), come sostenuto dagli economisti più conformisti come Monti, Alesina, Reichlin e così via è non solo sbagliato, ma irresponsabile vista l’accelerazione della crisi europea dovuta proprio a tali politiche. Le proposte sopra esposte, evitando drastiche misure deflative, darebbero anzi respiro ai paesi periferici lasciando loro risorse per modernizzare infrastrutture, istruzione, efficienza del settore pubblico, lotta all’evasione ecc. Ma anche in questo caso il contesto europeo è dirimente. Senza l’abbandono dell’impostazione neo-mercantilista di moderazione salariale e fiscale da parte della Germania, non v’è molta speranza. Ed è difficile che la Germania lo faccia.
Il catalogo è però questo. L’alternativa è la rottura dell’UME con una scia di rancori che lascia presagire un futuro ancora più funesto. Una sinistra consapevole e veramente europeista mobiliterebbe le proprie forze, in particolare i giovani, proprio su questo.