GAS: E CHI TUTELA IL CONSUMATORE?


di Alberto Cavaliere Carlo Scarpa

A dieci anni dalla liberalizzazione (decreto Letta), il governo sta introducendo una nuova riforma del mercato del gas. Sul tavolo c’è in primo luogo la questione dei “tetti antitrust”, nell’approvvigionamento e nella vendita, introdotti dal Letta allo scopo di limitare la quota di mercato di Eni fino al 2010. Si pone ora la questione se rinnovare i tetti oppure lasciarli cadere, confidando su altri meccanismi per lo sviluppo della concorrenza in un mercato rimasto sinora piuttosto asfittico.
L'IDEA DEL GOVERNO
Il governo, almeno sulla base di una proposta che ha cominciato a circolare, sembra intenzionato a non rinnovare i tetti antitrust per intervenire invece sulle capacità di “stoccaggio”, al fine di espandere la possibilità di accumulare gas nei periodi in cui il prezzo è basso (estate) per usarlo quando sia il prezzo che la domanda sono elevati (inverno). Di fatto, sinora solo Eni ha potuto beneficiare su larga scala della “flessibilità” nel commercio di gas e grazie al suo potere di mercato ha potuto trattenere per sé i benefici a titolo di extra-profitto. L’idea del governo sembra essere quella di rimuovere i tetti antitrust (Eni potrà quindi aumentare le vendite) e coinvolgere direttamente i grandi consumatori industriali negli investimenti in nuova capacità di stoccaggio, dando loro titolo a partecipare immediatamente allaspartizione della rendita legata alla differenza tra prezzi invernali e prezzi estivi.
Si tratta di un provvedimento che desta molte perplessità. È pur vero che i “tetti antitrust” non hanno contribuito granché allo sviluppo della concorrenza, visto che Eni ha sempre controllato (quasi) tutte le importazioni facendo leva sulla proprietà dei 
gasdotti di transito. Tuttavia, recentemente la Commissione europea aveva imposto a Eni la dismissione di alcuni di questi asset, creando i presupposti per un pluralismo sostanziale nel commercio estero di gas. La rimozione successiva dei tetti che effetto avrà sul pluralismo dell’offerta?
Quali saranno poi le infrastrutture di stoccaggio del gas che saranno sviluppate con la partecipazione dei grandi clienti industriali? La proposta che circola parla di “operatori di stoccaggio esistenti”, quindi in larga misura
Stogit (ovvero Eni) e marginalmente Edison, visto che le altre concessioni di stoccaggio non hanno nemmeno completato l’iter autorizzativo. Lo sviluppo su larga scala delle concessioni di Stogit con questo nuovo meccanismo rischierebbe di soffocare sul nascere la concorrenza nello stoccaggio. È vero che Eni in quanto venditore dovrebbe spartire con i grandi clienti industriali lo spread inverno-estate, ma conserverebbe comunque il controllo della “flessibilità” preservando il monopolio dello stoccaggio, assicurandosi per di più la priorità nel soddisfare la domanda di stoccaggio per usi industriali.
BENEFICI OGGI, INVESTIMENTI DOMANI
Uno degli aspetti più dubbi è che lo sviluppo dello stoccaggio non sarebbe lasciato al “mercato”, ma riservato ai grandi clienti industriali (dal lato della domanda) e a Eni (dal lato dell’offerta). Perché? L’idea è che dobbiamo aiutare le imprese a recuperare competitività e, visto che la concorrenza nel mercato del gas per ora resta una chimera, un modo fantasioso per abbassare il prezzo finale negli usi industriali è quello di far partecipare le imprese alla rendita di Eni. Il fatto che questo possa configurarsi come aiuto di stato è quasi ovvio, ma è anche il problema minore. Infatti non si vede in base a quale principio queste attività debbano essere riservate ad alcuni soggetti, in barba a una serie di direttive e di principi comunitari improntati alla liberalizzazione.
Un altro problema è che, secondo questo progetto, le imprese che si impegneranno a sviluppare nuovi investimenti cominceranno “da subito” a beneficiarne, prima ancora che i siti diventino effettivi. Si tratta quindi di chiarire la “
coerenza temporale” fra il diritto (certo) a quello che qualcuno chiama lo “stoccaggio virtuale”, che scatterebbe da subito, e lo sviluppo (incerto) dei nuovi investimenti in futuro. Impostare un progetto è facile, realizzarlo – soprattutto in Italia – è tutta un'altra storia. Ci sono di mezzo la progettazione tecnica, il finanziamento, l'autorizzazione, e molto altro ancora. Il primo rischio è che si proverebbe a fare tanti progetti salvo poi realizzarne solo alcuni. Dopotutto, le concessioni relative ai nuovi siti sono state rilasciate da tempo (dieci anni nel caso di Eni) ma gli impianti quando entreranno in funzione? Èlegittimo pensare che chi oggi riceve denaro pubblico regalatogli per migliorare la sua competitività sarà chiamato a restituirlo domani? E cosa succede se poi l'investimento non si realizza, o si realizza tra venti anni? Questi regali a fronte di impegni futuri lasciano molto perplessi.
La 
domanda di stoccaggio legata agli usi industriali è sempre rimasta strutturalmente insoddisfatta, impedendo ai concorrenti di Eni di espandere la propria quota di mercato. Resta inoltre strutturalmente carente la capacità del sistema di fronteggiare le punte invernali improvvise. Ma quale sarebbe l’impatto sulla concorrenza di uno sviluppo dello stoccaggio che sembrerebbe privilegiare ancora una volta l’operatore dominante? La proposta del governo prevede di lasciare disponibile per il mercato parte della nuova capacità di stoccaggio resa disponibile grazie alla partecipazione dei clienti industriali. Ma questi residui riuscirebbero veramente a compensare il venire meno dei tetti antitrust? Anche su questo aspetto i dubbi ci sembrano più che legittimi.
CHI TUTELA I PICCOLI?
Infine, i piccoli consumatori non industriali. Chi li tutela? Da un lato, verosimilmente, la concorrenza diminuirebbe perché si rafforza la posizione del gruppo Eni a fronte di un po’ di capacità di stoccaggio immessa sul mercato in un futuro non definito. Inoltre, le tariffe di stoccaggio in scadenza prevedono comunque che gli incrementi di capacità siano ripagati direttamente in tariffa. Fino a che punto le nuove tariffe sconteranno la partecipazione agli investimenti dei grandi clienti industriali?
Emerge un vecchio sospetto, Gli industriali chiedono di recuperare competitività e si assegna loro parte dello stoccaggio. Eni perde una parte po’ di rendita qui, ma viene compensato dalla scomparsa dei tetti antitrust. In questo modo, la tensione tra grande venditore e grandi consumatori si scarica su una 
riduzione della concorrenza, che finirà sui prezzi di chi non è protetto. Sembra quasi profilarsi un sussidio incrociato che abbassa il prezzo alle industrie aumentando il prezzo ai piccoli consumatori, quasi una “anti-Robin tax”: togliamo ai piccoli per dare ai grandi. Spesso su queste cose le autorità intervengono, e anche i tecnici del ministero dell’Economia non tacciono. È lecito sperarlo anche questa volta…