La dannazione tedesca sull’euro



di Sergio Cesaratto

La crisi finanziaria europea ha subito una accelerazione, attesa dagli osservatori più avveduti. Esaminiamone gli esiti possibili e la loro eventualità.

(a) La continuazione delle attuali politiche imposte dalla Germania di sostegni tampone ai paesi periferici e austerità. Il fallimento dell’aiuto concesso alle banche spagnole lo scorso fine settimana e la possibile vittoria di Syriza nelle elezioni greche (che ci auguriamo) suonano la campana a morto per tale strategia.


(b) Una integrazione europea più stretta che da un lato dia una qualche rassicurazione ai mercati di una garanzia europea sui debiti, e dall’altro avochi a una commissione tecnica a Bruxelles le decisioni nazionali di bilancio. Tale piano non è altro che un rafforzamento della prima strategia, inaccettabile sotto il piano della democrazia - diventeremmo de jure colonie tedesche - e disastroso sul piano economico: la periferia europea sarebbe condannata a un declino che la ridurrebbe a livelli di vita assimilabili ai paesi più poveri dell’Europa dell’est.

Nessuna delle due strategie assale alla radice il problema europeo: una drammatica perdita di competitività della periferia dovuta alla moneta unica in paesi fragili già esposti alla globalizzazione. Per assalire tale problema le strategie sono due:

(c) Quella più auspicabile è che la Germania, di fronte al baratro, decida di assumere il ruolo che per importanza economica e politica le spetta di paese leader europeo e globale. Essa rilancia poderosamente la domanda interna lasciando correre l’inflazione con l’obiettivo di arrivare a un disavanzo commerciale; nel frattempo la BCE sostiene i debiti pubblici annullando i famosi spread sovrani e consentendo quella stabilizzazione dei rapporti debito/Pil che è stata dimostrata essere compatibile con politiche di spesa pubblica in disavanzo. Tali misure, coordinate con quelle similari da parte dei partner globali, consentirebbero la ripresa della crescita europea e globale. I paesi della periferia europea si impegnano a riforme volte a modernizzare le loro istituzioni economiche, politiche e sociali, anche col sostegno di fondi e istituzioni europee (in queste riforme un po’ di cessione di sovranità ci starebbe pure). Il problema è che per il capitalismo tedesco tale strategia implica l’abbandono del modello mercantilista basato su disciplina interna, moderazione della domanda domestica, affidamento ai mercati esteri sostenuti dall’altrui keynesismo o foraggiati dalle proprie esportazioni di capitale. La Germania non è però attrezzata politicamente a compiere tale scelta. Non illudiamoci, preferirà distruggere l’Europa per la terza volta in 100 anni, sperando comunque di sopravvivere alla tempesta preservando il proprio modello nella prospettiva di costituire una piccola Svizzera dell’economia globale. In fondo la sua poderosa struttura sociale è già ben sopravvissuta a due drammatiche sconfitte.

(d) L’alternativa all’abbandono del proprio modello da parte del capitalismo tedesco c’è, ma è forse ancora più improponibile, ed è l’altrettanto temuta “transfer union”. In questo caso, la Germania conserva il suo modello di bassa inflazione e moderazione del mercato interno, l’Europa si integra secondo la strategia (b), ma per evitare la balcanizzazione della periferia Berlino si impegna a massicci trasferimenti di reddito a favore delle are svantaggiate. E’ naturalmente improponibile ai tedeschi sovvenzionare per l’eternità un enorme Mezzogiorno.

Ma il catalogo, madamina, è questo. C’è ovviamente l’ultimo esito, la rottura dell’euro.

(e) A questo esito si corre veloci e, data l’inettitudine dei politici tedeschi, quasi una damnatio di quel grande paese a far male, esso si verificherà a settimane (se non giorni), come giustamente titolava ieri il manifesto. Esso si paleserà quando i famigerati spread spagnoli e italiani supereranno la soglia per cui i mercati palesemente rifiuteranno di rifinanziare i debiti pubblici (in verità l’insostenibilità c’è già ai tassi attuali, con costi enormi presenti e futuri per la spesa sociale, ma ci si nasconde dietro l’illusione Napolitano-Monti che un dì scenderanno se saremo credibili). Non è naturalmente detto che l’euro cada subito, ma una cosa è certa: il default degli stati e dei sistemi bancari spagnoli e italiani, dell’intera periferia a quel punto, significherà che i tedeschi perderanno nei fatti gran parte degli enormi crediti maturati in anni di sciagurato mercantilismo. Chi si cimenti a leggere i quotidiani tedeschi (si veda l’ottimo blog Voci dalla Germania) è inorridito dai toni razzisti non solo su Bild, ma sull’”autorevole” FAZ. Il clima sarà allora esattamente di guerra. In questa atmosfera marziale di emergenza domestica e internazionale verrà concordata la fine dell’euro e una qualche soluzione ai problemi del debito. Poi speriamo in un miracolo argentino.

Nel frattempo, qui da noi, ci si occupa degli starnuti di Beppe Fioroni.