Il problema dell’Europa? I debiti esteri, non i debiti pubblici



Claudio Columbano

La lettura ufficiale della crisi europea ha avuto come bersaglio principale le finanze pubbliche degli Stati Membri, il cui deterioramento avrebbe causato sfiducia sui mercati finanziari e una decisa fuga dei capitali dalla zona Euro. O meglio, un loro riposizionamento verso quei Paesi (principalmente Germania, Paesi Bassi, Lussemburgo) che godono di una maggiore salute delle finanze statali. Seguendo il giudizio espresso dai mercati, gli Stati dell’Eurozona sono stati valutati e discriminati sulla base dello stock di debito pubblico accumulato negli anni. Abbiamo così assistito alle invettive contro gli Stati che avrebbero vissuto al di sopra dei propri mezzi, indebitandosi per finanziare spese inoculate e consumando più di quanto producevano, per poi suggerire la ricetta: austerità, tagli alla spesa pubblica e manovre consapevolmente recessive.
Stando a questa lettura, insomma, i mercati avrebbero punito la Grecia, l’Italia, la Spagna, l'Irlanda e il Portogallo per aver accumulato nel tempo un ammontare di debito pubblico insostenibile che ostacola la crescita. La vulgata che ha attribuito ai mercati finanziari l’ingrato compito di valutare a livello globale i Paesi sulla base del debito pubblico accumulato non riesce tuttavia a spiegare come mai la Gran Bretagna e la Germania, il cui rapporto Debito/PIL si colloca all'80%, ben al di sopra del 68,5% spagnolo, non abbiano subito l’attacco dei mercati durante tutto l’anno passato e tuttora si trovino a pagare tassi d'interesse contenuti. Oltretutto, sembra che per anni i mercati siano stati inefficienti, o distratti, premiando Paesi come l'Italia e la Grecia con tassi d'interesse piuttosto bassi, nonostante la mole di debito pubblico che li opprimeva.
In realtà, l’accento posto sul debito pubblico dei Paesi periferici è semplicemente fuori posto, dal momento che il loro vero problema è stato il deterioramento progressivo della bilancia dei pagamenti. In sostanza, l’Eurozona ha fallito negli anni scorsi nel tentativo di rappresentare una struttura di scambio tra Paesi che contribuisca al contenimento degli squilibri delle rispettive bilance commerciali e finanziarie. Questo è stato sanzionato dai mercati finanziari.
I dati della Commissione Europea parlano chiaro. I Paesi sotto attacco sono tutti in sistematico deficit della bilancia dei pagamenti da almeno quattro anni. I Paesi virtuosi, premiati dai mercati, sono tutti in surplus. Italia e Germania, entrate nell’Eurozona con un sostanziale pareggio delle partite correnti rispetto al PIL, hanno avuto destini opposti, con la prima che ha peggiorato drasticamente la propria situazione, mentre la seconda ha goduto dei vantaggi della moneta unica arrivando a un surplus pari a quasi il 6% del PIL. Grecia, Portogallo e Spagna, entrati con (in media) circa il 7% di deficit, hanno avuto negli ultimi quattro anni un deficit medio superiore al 10%. Un recente paper pubblicato da Bruegel, che considera l’intera bilancia dei pagamenti, mostra che l'entità del disavanzo estero è ancora maggiore una volta che si isolano gli afflussi di capitale dovuti ai piani di aiuto internazionali.
Il problema del deficit delle partite correnti delle imprese è stato, a sua volta, trasferito dalle imprese alle banche, dal momento che ogni volta che una banca – poniamo – italiana riceve un ordine di pagare un esportatore tedesco, registrerà un trasferimento di denaro a favore della banca tedesca presso la quale l'esportatore possiede un conto corrente. Questo meccanismo di afflussi e deflussi, all’interno dell’Eurozona, è svolto automaticamente dal sistema di pagamenti TARGET2, una camera di compensazione che muove in tempo reale i saldi monetari dei partecipanti all'Eurosistema (principalmente banche centrali, banche private e propri clienti).

Prima dello scoppio della crisi, i Paesi strutturalmente importatori, a fronte del deflusso periodico di capitali verso i Paesi esportatori, ricevevano abbondante liquidità sul mercato interbancario, che di fatto svolgeva il ruolo di garantire una costante e remunerata fornitura di denaro alle banche dei Paesi importatori. Tuttavia, la crisi ha ricordato agli operatori sull'interbancario che il denaro circolante su quel particolare mercato è pur sempre un prestito e, come testimoniato nella seconda metà del 2011 dalle difficoltà delle banche italiane a rifinanziarsi, il prestito si basa sulla fiducia nella solvibilità del debitore e delle garanzie che porta (tipicamente, titoli del debito sovrano del proprio Paese). Sparita la fiducia, sparì anche il denaro.
Le banche italiane, greche, spagnole hanno così dovuto rivolgersi alla BCE per ottenere denaro oltre le proprie necessità, per far fronte al blocco del mercato interbancario. La nuova moneta creata, che è di proprietà di tutte le banche centrali dell’Eurozona viene prestata ai Paesi periferici. Di conseguenza, le banche centrali dei Paesi in surplus, che non hanno bisogno della nuova moneta, la ridepositano alla BCE, registrando un credito multilaterale verso tutte le altre. Per fare un esempio, le attività TARGET2 della Banca d'Italia, che alla fine del 2009 valevano circa 51 miliardi di Euro, nel 2010 si erano praticamente azzerate; come la Figura mostra, la Banca d'Italia è ora diventata debitrice dell’Eurosistema per una cifra vicina ai 300 miliardi di Euro.

Recentemente, gli squilibri interni del sistema TARGET2 sono stati oggetto di attenzioni in Germania, poiché le somme attualmente registrate a suo favore sono cresciute fino a toccare la cifra di circa 450 miliardi di Euro e vengono considerate equivalenti ad un sussidio forzato.
L’Eurozona, quindi, è spaccata in due non perché alcuni Stati si sono indebitati troppo, ma perché alcuni Stati si sono indebitati troppo con l’estero, specialmente nei confronti della Germania. La preoccupazione tedesca per i crediti accumulati verso l'Eurosistema è dovuta al fatto che un'eventuale uscita di un Paese membro dall’euro porrebbe il problema del rimborso di quei debiti in una valuta diversa dall'Euro. In caso di mancato rimborso, il rischio sarebbe sopportato pro-quota dalle banche centrali azioniste della BCE. Ergo, la Bundesbank sopporterebbe il rischio maggiore. Un problema di squilibri commerciali si è tramutato in un ben più pericoloso problema di squilibri monetari e finanziari, che rischiano di far saltare l’intera area economica comune.