di Alfonso Gianni
Non
credo ci sia molto da aggiungere alla constatazione sulla
insoddisfazione dei cittadini italiani rispetto all’offerta politica
attualmente esistente. Più interessante sarebbe ritornare sull’analisi
delle cause della attuale profondissima crisi della politica e, in essa e
come causa principale della medesima, della sinistra. Si scoprirebbe
facilmente che una delle ragioni di fondo sta nella separazione tra
cultura e politica, che purtroppo è ben presente anche nel campo della
sinistra radicale, assumendo varie forme, tra le quali indubbiamente
l’idea che per tratteggiare un profilo ideale-politico-programmatico,
ovvero un’identità definita e riconoscibile al di là della contingenza,
basti semplicemente assemblare, o confederare, quello che c’è del ceto e
delle idee politiche esistenti o sommare le rivendicazioni che già
provengono dai movimenti o definire ottime regole democratiche di una
discussione dai contorni però del tutto indefiniti. Ovvero che si tratti
di raccogliere il già seminato.
Ma, come esordisce il Manifesto per un soggetto politico nuovo ,
“non c’è più tempo” per buttarla sui massimi sistemi. E sia. Ma da dove
deriva l’urgenza? Purtroppo questa sana discussione nasce alla vigilia
di un ineludibile appuntamento elettorale, quello del 2013. Concordo con
chi dice che non si può fare finta di niente e muoversi nel campo
dell’astrazione. Ma un conto è ragionare attorno alla costruzione di una
nuova offerta politica, e solo a quel punto elettorale, che abbia
almeno l’ambizione di porsi come inclusiva e unificante, un altro è –
pur restando perfettamente legittimo - dare vita a un nuovo soggetto in
aperta concorrenza con quelli esistenti. Né si può pretendere che la
cosa passi inosservata sotto la foglia di fico del pericolo grillino.
Perciò
conviene forse soffermarsi sul quadro politico interno e
internazionale, almeno europeo, nel quale i nostri passi si compiono.
Colpisce la recente insistenza sulla gravità e la lunga durata della
crisi in atto. Che sia così non vi è dubbio. Per quanto riguarda
l’Italia e l’Europa con la sola eccezione della Germania e di qualche
paese satellite, come la Polonia, essa ha un andamento peggiore, a
cinque anni dal suo inizio, di quella che originò dal crollo di Wall
Street nel ’29. Si è fatta, a causa del salvataggio del sistema
bancario, crisi del debito pubblico da cui le classi dominanti cercano
di uscire non con la tecnica, come si continua a fare credere, ma con
una precisa politica basata sulla riduzione strutturale dell’occupazione
e la cancellazione di qualunque forma di intervento dello stato in
economia (fiscal compact più costituzionalizzazione del pareggio di
bilancio) , la sospensione della democrazia più l’austerity a livello
degli stati, il marchionnismo, ovvero la liquidazione del dualismo fra
capitale e lavoro e dell’antagonismo sindacale, a livello delle imprese.
Tuttavia
si coglie nella compiacente drammatizzazione degli elementi reali della
crisi, così diversa dalla sua negazione ai tempi di Berlusconi, un
evidente disegno politico: quello di garantire al governo Monti una
ultrattività ben al di là dell’appuntamento elettorale e del suo esito.
Il governo Monti nato come governo costituente di un nuovo quadro
politico e , come si è visto con la votazione bulgara sull’articolo 81
della Costituzione, di nuovi assetti istituzionali, a rimorchio delle
pulsioni a-democratiche di questa Europa, si attribuisce il compito di
prolungare il proprio lavoro in una dimensione temporale indefinita,
comunque non inferiore alla durata della crisi, nella quale avvengono
quei processi di ristrutturazione sistemici cui prima facevo
frettolosamente riferimento. Serve a questo disegno che quella destra
caduta dal carro venga travolta dalle sue ruote, è il caso della Lega, e
che il centro si riorganizzi (vedi le mosse di Casini); serve che la
sinistra, per quanto debole e confusa, non intralci i progetti di grande
coalizione, proprio perché il passaggio è talmente stretto che anche un
piccolo granello di sabbia potrebbe bloccare ingranaggi per quanto
potenti.
Un
simile quadro potrebbe trovare degli ostacoli efficaci nell’esito delle
prossime, alcune imminenti, prove elettorali europee, in particolare
quella francese ove la possibilità di una vittoria della sinistra è
reale e dove sono state poste alla scelta degli elettori questioni di
sostanza che restituiscono per intero il clivage fra destra e sinistra. Ma noi non possiamo, pur sperandoci e tenendone conto, aspettarci dagli altri la nostra salvezza.
Né
la risposta può venire solo da una nuova legge elettorale. Pensare di
impedire la potente spinta a una strutturata grande coalizione
all’italiana, sulla base dell’obbligo di indicare preventivamente la
coalizione, significa non avere ancora metabolizzato l’errore del
referendum respinto dalla Corte costituzionale e neppure le ragioni che
portarono alla cancellazione della Sinistra Arcobaleno.
Una
ambiziosa e coinvolgente politica di destra, quale quella avviata con
il governo Monti, si affronta sul terreno sociale e politico. Non ci
sono scappatoie. Non ci si può appellare solamente a una rigenerazione
del vecchio centrosinistra. Simili processi, se avvengono, possono
verificarsi solo in virtù di un agente esterno, ovvero del delinearsi di
un’alternativa. Né, come ci ha detto Massimo Bucchi in una splendida
vignetta, si può pensare che una politica nuova sia
“l’antiantipolitica”. Servono movimenti e forze politiche di sinistra,
meglio se queste ultime impegnate in un processo di unificazione. Qui si
tratta di costruire un articolato, diffuso e allo stesso tempo coeso –
quantomeno per non produrre azioni schizofreniche - gruppo dirigente che
coltivi anche l’ambizione di porsi come futura classe dirigente della
società, argomento quest’ultimo curiosamente del tutto assente dalla
attuale discussione. Invece è qui che sta il nodo del governo, non come
esito immediato e tantomeno obbligato di una affermazione elettorale ma
come costruzione di un punto rilevante e irrinunciabile, per quanto non
esclusivo, della trasformazione.
E’
lo stesso tema che pongo dall’interno di Sinistra Ecologia Libertà. Una
forza che non può – qualche bilancio autocritico è ormai tempo di
trarlo – porsi da sola il compito per il quale pure era nata, appunto la
costruzione di un soggetto politico nuovo della sinistra, ma dalla
quale non credo si possa e convenga ad alcuno prescindere in questo
percorso. Per queste ragioni sarei poco interessato, per quel poco che
conta, al toto-nome, come al toto-liste, considererei un errore fatale
pensare al soggetto politico nuovo come
a un soggetto esclusivo, come pure a una frettolosa chiusura del quadro
programmatico attraverso una semplice giustapposizione di lavoro e beni
comuni (concetto che come giustamente dice Rodotà non andrebbe usato in
modo inflattivo). Il punto è come rispondere alla ristrutturazione in
atto nel campo economico, sociale, istituzionale e politico che nel suo
complesso costituisce la risposta da destra alla crisi in atto. Il
passaggio elettorale è solo una tappa. Non vedo difficoltà, se le forze
politiche e i movimenti attualmente esistenti la misurano nelle corrette
dimensioni, a trovare una soluzione che fornisca a tutti la possibilità
della rappresentanza.