Ed ora i poteri forti dopo aver "banchettato" provocheranno una recessione senza precedenti

Autore: fabio sebastiani
Il 2012 sarà un anno cruciale per le banche. A scriverlo è il Financial Times. Tradotto in breve, altra grossa fase di recessione in arrivo, soprattutto in Europa, dove a giugno entrerà in vigore la direttiva Eba, l'autorità europea del settore del credito, il cui obiettivo è drenare decine e decine di miliardi per coprirsi dal rischio di default agli sportelli. 
Ed ora i poteri forti dopo aver "banchettato" provocheranno una recessione senza precedenti
Proprio ieri le piccole e medie imprese hanno denunciato l’ormai non più sostenibile stretta sul credito. Secondo un sondaggio della Swg, promosso dalla Cna, ben un milione e mezzo di imprenditori, su quattro milioni e mezzo, hanno lamentato grandi difficoltà nell’accesso al finanziamento. Lo spettro del “credit crunch”, vera e propria miccia della recessione, non è più così remoto. 
Le ragioni sono tante. L’effetto della virtuosità delle banche italiane rispetto ai titoli tossici, con la crisi manifesta di Unicredit, che si dibatte da settimane in una complicata ricapitalizzazione, è terminato. E la “freddezza” con la quale gli istituti di credito stanno rispondendo all’offerta della Bce, che ha immesso nel circuito centinaia di miliardi a tasso quasi a zero da investire nei titoli pubblici, testimonia di una situazione di sostanziale blocco del sistema creditizio. Un blocco dettato dall’assenza totale di fiducia. Nessuno sa valutare dove risiedano i titoli tossici. 
La direttiva dell’Eba, che paradossalmente vuole essere un tentativo di arginare i pericoli della speculazione, anticipa al 2012, rispetto alla precedente data del 2019, il rafforzamento del capitale richiesto alle banche: 71 grandi gruppi europei dovranno puntellare la loro posizione patrimoniale costituendo un “buffer di capitale”, così viene chiamato, eccezionale e temporaneo per un importo complessivo che sfiora i 115 miliardi. La quota riservata alle banche italiane è di circa 15 miliardi.  Entro il 20 gennaio gli istituti di credito dovranno presentare i loro piani strategici. 
Per far fronte alla situazione, i più grandi gruppi bancari europei, a cominciare da quelli francesi e spagnoli, si preparano a vendere i pezzi più pregiati, cioè le controllate più redditizie e i rami d’azienda che fanno più utili. 
Il resto dovrà essere fatto attraverso il reperimento di altri capitali. E qui la “crisi” rischia di avvitarsi su se stessa, con conseguenze facilmente prevedibili per il sistema economico. 
Le banche italiane, le prime a ribellarsi, caldeggiano quella che sembra l’unica opzione percorribile, il rinvio, ma le chances di farcela sono piuttosto basse. Anche perché è impensabile aspettarsi una marcia indietro da parte dell’Eba in un momento di così forte tensione. Tra le altre, c’è anche l’ipotesi di chiedere delle correzioni al calcolo fatto nell’esercizio nato per tenere conto della crisi del debito sovrano e che ha introdotto una svalutazione dei titoli pubblici nei portafogli delle banche.
Le previsioni rispetto alla situazione italiana sono tutte di segno negativo. Secondo l’Abi, per l’Italia si sta prefigurando un 2012 "dai forti toni recessivi", con una situazione di sostanziale stagnazione rispetto all’anno successivo». La situazione è già grave nel mix tra l’immobilismo del governo di centrodestra e la manovra del governo Monti che finirà per accentuare gli effetti recessivi, per la precisione di quattro decimi di punto nel biennio in questione. Lo scenario più realistico, dunque, prevede che le banche facciano fronte a una bassa redditività e a una lenta crescita degli attivi, con un miglioramento della patrimonializzazione soltanto tra due anni e grazie al contributo fondamentale delle leve finanziarie.
Secondo Emiliano Brancaccio, professore all’Univiersità del Sannio, "da un lato paghiamo la politica dell’Eba, palesemente ostile all’Italia e agli altri paesi periferici, ma dall’altra lo scatto di quelle banche italiane che seguendo la moda della modernizzazione hanno accumulato titoli tossici". 
A molti analisti non rimane altro che fare appello al vecchio arnese della “vocazione al risparmio” degli italiani. Ma di fronte ai numeri della crisi, che si dibatte tra inflazione, recessione, disoccupazione, smantellamento del welfare, la favoletta dei “soldi sotto il materasso” non vale più.