Lettere dal Capitale


MARCO SFERINI

La lettera con cui Sergio Marchionne decide la dismissione di tutti gli accordi tra FIAT e sindacati è un’aggressione esplicita ai lavoratori e alle lavoratrici del gruppo del Lingontotto ma è anche una ammissione di una scomposta reazione alle dinamiche del capitalismo in crisi.
Praticamente, sostiene l’amministratore delegato, tutto questo si svolgerebbe in un piano di armonizzazione dei rapporti tra azienda e mano d’opera, escludendo dalle trattative quei sindacati che non intenderanno addivenire ad una consensualità con le scelte del gruppo torinese.
Si tratta di un gesto che, almeno in Italia, è in aperto odore di incostituzionalità perché si sovraordina al sindacato medesimo, impone lo scioglimento diretto e senza mezzi termini delle Rappresentanze Sindacali Unitarie e le sostituisce, mediante la riabilitazione dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, con rappresentanze scelte e non elette dai lavoratori.
Rappresentanze dunque nominate a piacere dal padronato con, in più, la diminuzione delle pause da 40 a 30 minuti e l’esponenziale aumento del monte orario degli straordinari: ben 80 ore in più direttamente comandate dalla dirigenza aziendale senza nessuna possibilità di mediazione. La produttività, dunque, viene messa come elemento accelerativo dell’accumulazione profittuale, provando – come quinta azienda mondiale produttrice di automobili – a forzare senza mezzi termini sui diritti di chi lavora, non avendo nemmeno più il vincolo confindustriale.
Nessun sindacato ostile alle scelte di Marchionne potrà fermare Marchionne stesso e nemmeno l’occhio dell’aquila di viale dell’Astronomia potrà aggrottare le ciglia per rimproverare l’anarchismo produttivo del Lingotto.
La crisi globale, sulle ali della speculazione finanziaria, mette fretta alla FIAT che intende rimanere sul mercato con l’asse definito con Chrysler ma senza fondersi con l’azienda di Detroit.
Siamo davanti ad una politica aziendale che, come risposta, meriterebbe un’azione a vasto raggio capace di bloccare la produttività della FIAT. La competitività dettata dalla concorrenza non solo non è utile a questo ma stimola la belva a dimenarsi sempre di più e a scavare ancora più profondo il solco tra i diritti di chi lavora e il profitto di chi siede al tavolo degli azionisti.
La fine del governo Berlusconi può avere incoraggiato Marchionne a questo passo, provando dal prossimo anno a farla finita una volta per tutte con la FIOM. Un sindacato combattivo, tenace, che non si lascia intimorire e che, per bocca di Maurizio Landini, promette non una ma cento battaglie, comprese quelle legali, per fermare l’eversione aziendale della FIAT.
Dopo la lettera della BCE ai governi è ora la lettera di Marchionne agli oltre ottantaduemila lavoratori del gruppo torinese a tenere banco e a mostrare che per il padronato non è mai tardi per rimettere in piedi i termini di un lavoro che somiglia sempre più al becero schiavismo del secolo passato e che della tanto declamata “modernità” non ha niente.
Tutta la CGIL deve sostenere la FIOM in questa lotta. E con lei tutto il mondo della solidarietà sociale, del lavoro e del non-lavoro: serve una rinascita dei rapporti di classe proprio per determinare un fronte compatto di contrasto netto, duro e senza se e senza ma all’arroganza e alla prepotenza di Sergio Marchionne e dei suoi mandanti padronali.
Serve un nuovo odio per queste proposte, un odio di classe come diceva ancora poco tempo fa Edoardo Sanguineti: un odio capace di far crescere quella necessaria indignazione che contrasti con l’unità di intenti e d’azione la voracità del profitto che si beffa della Costituzione, dei più elementari diritti conquistati con le lotte operaie e che riporta il sindacato ad essere una subordinata della volontà aziendale.
Appellarsi al governo Monti significa almeno esercitare un diritto di prammatica, rendere edotto l’esecutivo che qualcuno che osa ancora alzare la voce contro Marchionne e il suo “modello-Pomigliano” c’è. Ma non servirà a niente se la FIOM non sarà supportata da una ondata di massa, da una esigente volontà di rovesciamento del piano di destrutturazione sindacale nelle aziende della FIAT, in tutto il suo gruppo.
Due sono le lettere da battere ora: quella della BCE e quella di Marchionne. Leggetele entrambe. Le analogie sono impressionanti e sono la dimostrazione più elementare che la lotta di classe c’è… Eccome se c’è!