FUORI DAL DEBITO! FUORI DALL’EURO!



Diamoci da fare

FUORI DAL DEBITO! FUORI DALL’EURO!

Scriviamo questo testo agli inizi di agosto. Da tre settimane le borse euro-atlantiche registrano un tonfo dopo l’altro. Vendite massicce su tutti i fronti. Non ci si sbarazza solo dei titoli di stato e delle obbligazioni bancarie dei paesi considerati gli “anelli deboli” della catena europea, ma pure delle azioni industriali. Altro che “panico” o “mercati che non capiscono”!
 Le grandi consorterie affaristiche e bancarie, quelle che maneggiano montagne di denaro, danno per certa una nuova recessione, con effetto domino sui debiti sovrani, sull'eurozona, su tutta l'economia. Siamo davanti alla profezia che si auto avvera, al passaggio dalla recessione alla depressione. Le conseguenze sociali saranno devastanti, senza precedenti. L’Italia risulta in queste settimane il paese tra i più colpiti dal marasma finanziario. Crescono gli interessi che lo Stato deve pagare per poter finanziare il suo debito, cresce di converso il rischio di un crack delle banche italiane, visto che per far quadrare i loro traballanti bilanci hanno acquistato quantità crescenti di titoli del tesoro.

Capitaclisma economico 


L’Assemblea che stiamo preparando potrebbe dunque svolgersi dopo la «tempesta perfetta», in un contesto drammatico, nel bel mezzo di un cataclisma. Se questo crollo a breve non è certo, la tendenza invece lo è, poiché la crisi è storico-sistemica, di portata epocale. E’ al tramonto il modello economico sociale e politico adottato dall’Occidente imperialistico dopo gli anni ’70 dell’offensiva operaia e l’avanzata delle resistenze antimperialiste. Deindustrializzazione e terziarizzazione, supremazia della rendita usuraria, consumismo compulsivo alimentato dalla crescita esponenziale dei debiti privato e pubblico, delocalizzazione di interi comparti industriali nei paesi a bassi salari e a controllo totalitario della forza lavoro, parassitismo generale, crescita delle economie criminali. Sbriciolando l’ordinamento sociale, ridislocando classi e ceti, il combinato composto di depressione e crisi del debito sovrano, detterà la nuova agenda politica, deciderà il rango delle diverse problematiche sociali.

Polarizzazione sociale

Le questioni secondarie diventeranno primarie e quelle primarie diventeranno secondarie. Quelle marginali diverranno irrilevanti. I movimenti per i diritti democratici e i beni comuni, che in questi anni hanno occupato la ribalta, confluiranno nella più generale sollevazione popolare per salvare il paese dalla catastrofe. I partiti politici, guidati da cricche corrotte e incompetenti, longa manus delle oligarchie parassitarie, potrebbero essere travolti, lasciando spazio a forze politiche e sociali nuove, a quelle appunto che sapranno indicare radicali vie d’uscita dalla crisi sistemica. Non è difficile intuire su quali linee avverrà questa polarizzazione. La posta in palio è come uscire da questa crisi storica, chi dovrà essere portato al macello, chi deterrà il potere dello Stato. Le due classi dominanti, la rendita usuraria e il capitale monopolistico, arrivate al dunque, faranno causa comune, costituiranno l’asse portante di un blocco sociale reazionario, pronto a qualsiasi avventura pur di restare al posto di comando e scaricare sul resto della società i costi della crisi.

Blocco popolare 

Ove i loro partiti-fantoccio fallissero nell’addomesticare le masse, nell’obbligarle ad accettare draconiane politiche di sacrifici (questi sono i compiti loro assegnati), saranno messi da parte, per far posto ad un regime di nuova dittatura, magari anticipato da movimenti di massa reazionari di cui la piccola borghesia pauperizzata fungerà da testa d’ariete. Il nostro paese è quindi destinato ad entrare in una fase di grandi turbolenze e conflitti, di polarizzazione sociale e politica. Lo sbocco non è predeterminato, verrà deciso nel corso della battaglia. Come sempre vincerà il più forte. Si deve dar vita, per tempo, ad un Blocco popolare, si deve impedire che milioni di cittadini finiscano tra le braccia del populismo reazionario. Un Blocco pronto dunque non solo alla resistenza, ma a scalzare dal potere le oligarchie parassitarie e i loro fantocci politici. Se non ci riusciremo tutto sarà perduto, i diritti democratici, la dignità, le conquiste sociali, il futuro. Occorre agire per aprire un varco a questo Blocco nel muro ostile eretto dal sistema, e che separa le larghe masse dai compiti che la situazione impone loro, dalla consapevolezza della posta in palio. Questo varco si apre sapendo indicare sia le misure politiche e sociali fondamentali che i mezzi coi quali soltanto il paese può evitare di precipitare nel baratro. Due sono le misure urgenti decisive: la cancellazione del debito pubblico e l’uscita dall’euro.

Fuori dal debito! 

Per capire perché la vicenda debiti sovrani è fondamentale occorre riconoscere la distanza che separa il capitalismo reale e post-industriale moderno da quello che fu. Siamo in un sistema ove predomina il capitalismo parassitario di Stato. Lo Stato, oltre al suo immenso patrimonio, incamera ogni anno una cifra che sorpassa quella di tutte le industrie manifatturiere messe assieme. Esso è il perno a cui la ruota gira, la fonte a cui si abbeverano non solo la rendita parassitaria e il sistema bancario, ma gli stessi grandi gruppi monopolistici industriali con le loro appendici. I partiti politici, quelli di opposizione non meno di quelli al governo, agitano lo spauracchio della “default”, affermando che solo pagando i debiti ai creditori si eviterà la catastrofe. E’ vero l’esatto contrario! Onorare il debito causerà la depressione economica, un nuovo pauperismo di massa, la fine dello stato sociale, il definitivo crollo del paese. L’alternativa è quella di chiudere i condotti attraverso cui passa l’ingente flusso di ricchezza pubblica che alimenta i santuari milionari della rendita e dei monopoli. Cancellare il debito significa porre i sigilli alla bisca capitalistica, liberando così ingenti risorse per la rinascita dell’Italia, per rilanciare l’economia produttiva, pubblica e privata, per difendere i beni comuni, per rifondare il sistema scolastico e la ricerca, per debellare la disoccupazione, per gettare le fondamenta di un nuovo ordine sociale.

Fuori dall’euro!

Ognuno sa che i guai, per le masse lavoratrici e per il paese, sono aumentati con l’adozione dell’euro, una valuta ideata su misura del capitalismo industriale e finanziario tedesco, che ha infatti agevolato le sue fortune. Le banche germaniche hanno fatto profitti prestando soldi ai paesi “meno virtuosi”, affinché questi ultimi si ingozzassero di merci tedesche. Da quando l’Italia ha adottato l’euro il paese è in recessione. La tempesta finanziaria ha poi spazzato il principale argomento con cui si convinsero i cittadini ad accettare come salvifici i sacrifici per entrare nell’eurozona: che abbandonando la lira saremmo stati al riparo da una crisi del debito sovrano. Cancellazione del debito e uscita dall’euro sono due facce della stessa medaglia. Tornare alla lira, ponendo la Banca d’Italia assieme a tutto il sistema bancario e assicurativo sotto controllo pubblico, non vuol dire essere antieuropeisti, vuol dire guardare in faccia la realtà, anticipare la tendenza obiettiva, che è quella della disgregazione dell’Unione monetaria. Non c’è alcuna ragione plausibile per cui le masse popolari italiane debbano fare inauditi sacrifici per salvare un’Unione oligarchica, fondata sulla moneta e su principi liberisti e destinata al fallimento.

Sollevazione 

Non si cancella il debito e non si abbandona l’euro senza mandare a casa, assieme al governo, l’intero Parlamento, visto che tutti i partiti sono concordi nell’onorare il primo e nel difendere il secondo. La strada del cambiamento passa per una sollevazione di massa, per l’assedio ai santuari del potere, facendo fare a questo regime la stessa fine dei satrapi come Ben Alì e Mubarak. Solo un governo popolare potrà salvare il paese. Solo una rivoluzione democratica caccerà la casta dei parassiti e consegnerà, attraverso una Assemblea costituente per una nuova Repubblica, la sovranità effettiva ai cittadini. Per questo occorre la più larga unità. Per questo convochiamo l’assemblea del 22 e 23 ottobre