Edilizia, il "miracolo" berlusconiano

di Monica Maro,


Per la prima volta nella storia del Paese operai, sindacalisti e imprenditori del settore edile scendono in piazza gomito a gomito per protestare contro i dissennati tagli del governo nelle infrastrutture e gli scandalosi ritardi nei pagamenti per lavori già eseguiti


Sul piano nazionale il settore edile ha perso solo negli ultimi tre anni qualcosa come 30 miliardi di investimenti pubblici, vale a dire il 30 per cento del totale. Numeri che fanno spavento e che si traducono in 250mila posti di lavoro in meno, concentrati specialmente nelle zone deboli e 30mila solo in Sicilia. E questi sarebbero i grandi risultati del "governo delle grandi opere" e del magniloquente "piano nazionale per il Sud".
I primi manifestanti sono arrivati a piazza Montecitorio di prima mattina per un presidio fuori dal comune: per la prima volta le organizzazioni delle imprese edili protestano insieme ai sindacati dei lavoratori del settore per il rilancio del comparto. La manifestazione nazionale vede riunite, infatti, le 14 sigle promotrici degli stati generali delle costruzioni (dall'Ance alle cooperative, da Confartigianato alla filiera dell'indotto riunita in Federcostruzioni e i sindacati, Fillea Cgil, Filca Cisl, Feneal Uil). "Si protesta contro l'insufficiente politica industriale per il settore edile", come sottolineano i partecipanti. Infatti all'inizio della crisi sono stati cancellati, considerando l'indotto, 250 mila posti di lavoro che rischiano di arrivare a 290 mila nel 2011, con migliaia di imprese che hanno chiuso i battenti.
I manifestanti, con i tipici caschetti da cantiere, agitano slogano come "le piccole opere fanno grande il Paese", "lavorare per lo Stato non paga", "la crisi preme il fisco ci spreme", "portiamo a casa la ripresa".


Una "manifestazione ben motivata" dice Bersani, segretario Pd "perché abbiamo un crollo enorme dell'attività edilizia e delle opere pubbliche in particolare". "In questi due anni - è l'analisi di Bersani - sono diminuiti gli investimenti, abbiamo trasformato la spesa per gli investimenti in spesa corrente. Non è vero che abbiamo ben governato i conti pubblici. Questo ha portato dei guai molto seri - sottolinea - perché si sono bloccate le piccole opere che dovevano essere un volano di questa fase, lasciando che i comuni virtuosi facessero investimenti subito per dare un po' di lavoro. Si è bloccato tutto e adesso ne paghiamo le conseguenze". Per Bersani ci siamo messi in "un circolo vizioso". "E' il circuito dei pagamenti che non gira: se lo Stato non paga le imprese, queste a loro volta non possono pagare i lavoratori, le banche sappiamo in che situazione sono quanto a larghezza di credito e le imprese non hanno fiato per andare avanti , quindi si perde occupazione".